[La brugola del Romeo – 16ª tappa] Proseguono le cronache del Giro d’Italia visto da La Bottega del Romeo – dal 1935 | in esclusiva su La Repubblica delle Biciclette
“I suoni del ciclismo, in una tappa verità, che forse non ha detto la verità” – di Lorenzo Franzetti ⚙️
La tappa dell’Aprica, dicono, è quella della verità: in tivù, con servizi patinati e ipersponsorizzati, Garzelli e Saligari presentano il percorso e ne esaltano le qualità, come una televendita di Mastrota. La tanto attesa verità, però, non si coglie, lo spettacolo non viene fuori dallo schermo, si colgono a fatica i nomi nuovi di un ciclismo che parla tante lingue inedite. In bottega ci s’infiammava al suono di Moser, Saronni, Contini, Panizza, Battaglin. E prima ancora con la sinfonia di Gimondi, Motta, Merckx, Adorni, Zilioli che era figlia di una marcetta che suonava così: Coppi, Bartali, Magni, Casola, Cottur. Oggi, l’aria musicale di questa tappa tocca suoni complicati: Hirt, Kämna, Landa, Hindley, Carapaz. Normale che quando cambi la musica, si faccia fatica a masticare le nuove armonie, ma il difetto maggiore di queste interminabili dirette in ogni tappa è che in quattro o cinque ore di telecronaca non escano l’anima, il colore, la luce e le sfumature di una corsa che, forse è magica come dicono, ma tra le quattro mura dell’officina non lo sembra affatto.
Si lavora e si sbuffa su un Giro troppo straniero, ma anche troppo incelofanato, dai suoni ovattati. Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta c’erano le telecronache memorabili di Adriano De Zan che aveva la dote di fare uscire dal gruppo creature che sembravano mordere il manubrio anche se non le vedevi, al suono di Jesper Worrrrre, Zadrrrrrobilek, Konishev, Marino Lejarreta e JesperSkibbi (sì sì tutto attaccato), nomi sparati nell’etere e che li vedevi scattare nei tuoi pensieri, smettendo di avvitare qualsiasi cosa avevi sotto i cacciaviti in officina. Prima ancora c’era la radio, che era tutto un suono, che faceva immaginare a ognuno la corsa, l’Italia, le volate e le sconfitte modellate dalla propria fantasia, dai propri pensieri belli, brutti, stanchi o romantici. Oggi ci sono altri tempi, altre idee, altri schemi.
Lo spettacolo della tappa regina non esce, tuttavia, o forse siamo noi in bottega a non coglierlo: Jan Hirt vince e per spiegare chi è, casomai il Diego volesse saperlo, vado su Wikipedia e scopro che viene da Třebíč, un meraviglioso borgo medioevale della Repubblica Ceca. Il Diego, però, non lo vuole sapere, non chiede, tace a modo suo: che vuol dire che brontola scontento.
Le immagini sembrano quelle di una fiction mal recitata: finita la diretta, vengono fuori di nuovo i patinatissimi Garzelli e Saligari, che una volta erano corridori, mentre oggi sono meno credibili nel loro continuo mostrare i nomi degli sponsor sulle bici e sull’auto al seguito, perfettamente ammaestrati. Spegniamo la tivù e ci resta la voglia di immaginare le rughe di fatica e di dolore di Pozzovivo, mentre arriva attardato dall’ennesima caduta. “La mia carriera è così”, aveva detto al microfono in una rapidissima intervista subito surclassata da premiazioni e dibattiti vuoti. Ci sarebbe voluto la modalità “fermo immagine” su quell’unica intervista che stava facendo uscire l’anima del personaggio. Che meraviglia le sfumature, la luce, l’umanità di Pozzovivo, che Caravaggio avrebbe fermato da fuoriclasse su una tela, e che cerco di immaginare mentre la diretta pensa già ad altro: Pozzovivo, uno che ha più fratture in corpo che vittorie in bacheca, ma che risale ogni volta in sella migliore di quando ci era risalito alla caduta precedente.
L’uomo del giorno di oggi, in bottega, è Luca che non è con noi, ma in un letto di ospedale a Borgomanero, in Piemonte: uno che dovrebbe prendere esempio da Pozzovivo e, sicuramente, lo farà. Luca sta cercando di rialzarsi da una brutta caduta, figlia di un ciclismo della domenica che sulle strade trafficate perde tutta la sua poesia e diventa una guerra. La bicicletta è come la musica, che quando ti piace ti entra nel cuore e non sai perché: ti piace e basta, senti che ti fa bene. E quando la musica non c’è più, continui a sentirtela in testa, come quell’idea di tornare in sella, che non sai perché ti viene, ma c’è e confidi che ci sia sempre.
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