[La brugola del Romeo – 18ª tappa] Proseguono le cronache del Giro d’Italia visto da La Bottega del Romeo – dal 1935 | in esclusiva su La Repubblica delle Biciclette
“De Bondt e gli altri, vite da romanzo ignorate dai malcontenti” – di Lorenzo Franzetti ⚙️
Dries De Bondt che trionfa a Treviso fa sbadigliare Mirtilla Malcontenta e i suoi adepti. Mi fanno sorridere i giornalisti, gli espertoni, i draghi da socialtastiera che a ogni Giro d’Italia hanno da ridire sempre con i big che non si combattono come vorrebbero, con le strategie, la noia, la mancanza di questo o di quello. Non abbiamo più un campione che faccia audience o che fa vendere i giornali: frignare e ribadirlo, non è la soluzione, forse chi ama il ciclismo e ne scrive dovrebbe fare uno sforzo per guardare bene, studiare, conoscere. È un rito anche questo, quello del critico criticatutto. La corsa comanda, la strada svela la trama della storia: sta a chi ha voglia di raccontare, trovare la chiave per far smettere di sbadigliare chi guarda il Giro e non ci capisce più nulla di tutti questi nomi strani, stranieri, strani, estraniati.
La storia di Dries de Bondt vale un romanzo, ma se non la si va a cercare, difficile farla conoscere. Otto anni prima della sua resurrezione al Giro, questo ragazzo belga era dato per spacciato in un letto di ospedale, dopo una terribile caduta che gli aveva spaccato la testa, in una corsa in Francia. Tredici giorni di coma e poi il destino cambiò, il belga cominciò a risalire verso la rinascita. Anni difficilissimi, tra riabilitazione e un sogno che sembrava lontanissimo, irrealizzabile: fino a un giorno di maggio, nel cuore del Veneto, circondato da tifosi appassionati, sulle strade del Giro d’Italia. I pensieri di De Bondt sul traguardo di Treviso varrebbero sì un romanzo, una storia che sia d’esempio. Ma bisogna andare a cercarla, bisogna fare lo sforzo per ritrovare la vena narrativa per tutti gli spunti che il ciclismo sa offrire da sempre, anche in quest’era tecnologica. È una questione di cultura ciclistica.
Da bambino, ringrazio il Diego per avermi trasmesso una passione pazzesca, che mi portava a conoscere e vedere ogni corridore come un guerriero delle favole. Per ogni Giro d’Italia, mi facevo un quaderno, un piccolo diario, e a ogni tappa ritagliavo foto, ordini d’arrivo, curiosità. La prima volta fu con Gimondi, anzi la prima parola che imparai a leggere fu Gimondi, quando vinse il Giro nel 1976: da allora, ogni ciclista al Giro era un eroe. E gli stranieri mi facevano impazzire: a cominciare da Freddy Maertens e Roger De Vlaeminck, che vincevano sempre, come Rik Van Linden, che aveva pure un fratello. Come De Muiynck che vinse un Giro, come Pollentier che ne vinse un altro con il sospetto di suoi trucchetti all’antidoping: o ancora, Ronny De Witte, Marc Demeyer, Knut Knudsen, Bernt Johansson, Dietrich Thurau, Ueli Sutter. Ogni nome aveva una foto appiccicata al diario. E chi se li dimentica più…
Trent’anni dopo, inviato in Belgio, scoprii che non ero l’unico a inventarmi quel gioco: alla partenza di una Parigi-Roubaix incontrai una signora che aveva più o meno l’età di mia madre. Cercava di riconoscere qualcuno, finché, vedendomi con un pass al collo (allora, alle classiche, i giornalisti avevano diritto tutti al pass, non come oggi), mi chiese: «Sto cercando Nazareno Berto, sapresti indicarmelo?» e mi mostrò un quaderno con articoli di giornale appiccicati sopra e una foto di un giovane gregario in maglia Inoxpran. Ebbene, Nazareno Berto, totalmente sconosciuto in Italia (solo in Veneto, qualcuno lo ricorda) era diventato un buon meccanico al seguito delle squadre: con la signora fiamminga, andai da lui, che si ritrovò ad autografare la sua pagina davanti allo sguardo felice della sua fan. Scrivo tutto questo semplicemente per far capire: il ciclismo è questione di cultura. In Belgio hanno saputo mantenerla, questa cultura e così accade che il quasi sconosciuto Colbrelli che vince la Roubaix diventi un mito laggiù mentre qui non se lo fila nessuno. Al contrario, un Dries De Bondt primo a Treviso, seppur con una storia pazzesca, finisce tra le righe dei cronisti malcontenti.
Viva Dries De Bondt e i cantastorie che si accorgeranno di tutti quelli come lui.
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