[La brugola del Romeo – prima tappa] la cronaca del Giro d’Italia 2022 vista da …


[La brugola del Romeo – prima tappa] la cronaca del Giro d’Italia 2022 vista da La Bottega del Romeo – dal 1935, antica bottega artigiana sul Lago Maggiore, in attività da 87 anni

[Visegrád, provincia di boh] di Lorenzo Franzetti ⚙️
Voglia di tornare alla normalità o a come eravamo prima. Che non è la stessa cosa. Sono due facce dello stesso sentimento dominante, mentre torna il Giro d’Italia dentro alla bottega. O meglio, dentro a una tivù che, rispetto al maggio dello scorso anno, ha un decoder in più, per farci arrivare fino a Visegrád. Decoder che va decodificato perché al posto delle immagini, la tivù manda in onda grechine, come ai vecchi tempi dei Telefunken in bianco e nero. Grechine e parolacce, le prime imprecazioni del Diego, il nostro cerimoniere e decano dei pomeriggi in rosa.

Personaggi e interpreti della prima tappa, il primo già nominato è il Diego, il figlio del Romeo, quello in difficoltà col decoder e già nervoso per questo. Finché non interviene un aiuto esterno, una giovane titolare di un negozio di elettrodomestici del paese, chiamata in SOS, praticamente una badante del nostro telecomando. Diego è il motore, l’archivio, il software mentale del magazzino delle bici dismesse, l’esperienza su ogni disgrazia meccanica, ma anche la memoria parlante di gare, aneddoti, imprese passate e vissute dalla bottega. Quando, però, si entra in diretta con la tappa, il Diego si ferma, come fosse dentro in gruppo pure lui: per la corsa c’è, per il resto è imballato come un vecchio computer quando non risponde ai comandi.

Poi ci sono io, che dal Diego ho raccolto il testimone. Una staffetta per mandare avanti un angolo di vita ciclistica affacciato su una piazza di provincia. Ho raccolto il testimone delle tasse e della burocrazia, degli orari sballati e della pazienza infinta. Staffettista di bottega con la passione di raccogliere storie, quando è possibile, come primizie che crescono lì, nel terreno della vita quotidiana che odora di copertoni e, spesso, ispira qualche “vadavialcù” per le cose che non vanno, ma a volte regala emozioni belle, se le sai cogliere.

A fare da filtro, perché quando il Giro va in onda, comunicazioni e rotture di scatole vengono drasticamente ridotte, c’è l’Ale, mia moglie, che la corsa non la vede, ma la sente da quel che esce dall’officina: è l’unico elemento preciso e ordinato di una bottega che non lo è mai stata. E, per questo, è fondamentale.

A volte, come oggi nella prima tappa, c’è Armando, che da ragazzino era veneto e ora è uno di lago, ma che dalle radici venete ha mantenuto la concretezza e le cose dette senza troppi fronzoli: le bici sono la sua e passione, la meccanica ancora di più, con il gergo attuale potremmo definirlo il consulente per i casi disperati, ovvero per le bici che qualsiasi ciclista butterebbe nel lago con il padrone incluso, che lui invece con pazienza maniacale riporta alla vita. A certe condizioni ben precise. Non sopporta le bici inzaccherate e trasandate. Una volta, una graziosa signora, quasi una damigella, si presentò nel cortile dell’officina con una bici da riparare che sembrava recuperata dal pollaio. Armando, che aveva già notato quella bici da lontano, scrutò la damigella e non gliele mandò a dire: «Ma lei, quando va dal ginecologo, non se lo fa un bidet? Quando pretende che si mettano le mani su certe bici, provi a pensarci». E la signora arrossì, quasi certamente non capì, e se ne andò lasciando comunque la bici in riparazione, ma pensando a quando si era fatta l’ultimo bidet. Aneddoti a parte, l’Armando è un po’ il nostro zio, il fratello maggiore, quello che ti fa tirare un sospiro di sollievo nelle giornate pesanti in officina. Non ha avuto una vita fortunatissima, ma ci dà dentro sempre alla grande, in bici e nelle piccole cose. Oggi è lui, l’uomo della prima tappa: festeggia i 71 anni. Avrebbe voluto festeggiare alla grande i 70, ma con la pandemia ha dovuto rimandare: si ritorna a queste cose, a queste emozioni condivise, un anno dopo. Prepara la festa, ce l’ha in mente come Van der Poel sta pensando alla prima maglia rosa: centrate entrambe.

Visegrád, qui è in provincia di nulla, perché questo Giro all’estero resta pieno di “boh” e “mah”: e poi Visegrád non compare nelle cartine appese in bottega, quelle con i percorsi. C’è il Brinzio, c’è il passo del Cuvignone, ci sono il Piccolo Stelvio e la Grantola, ma Visegrád è fuori dai confini, quindi non entusiasma. Però la vittoria splendida di Van der Poel, ricorda il trionfo di Terzaghi a Lonate Ceppino: Terzaghi e Lonate Ceppino sono vecchi capitoli di storia ciclistica anni Settanta, quelle vissuta intensamente dal Diego e che, a ogni immagine presente, riemerge con tutte le analogie. Visegrád, sì, assomiglia alla Valle Olona, teatro di sfide ciclistiche infinite.

Van der Poel, Girmay, Caleb Ewan. I protagonisti del finale, compaiono quando in bottega sopraggiunge un maestro di musica che sta per regalare una bici al figlio: non capisce nulla di ciclismo, ma quella successione di nomi lo fanno pensare a un suono quasi di percussioni. Variazioni inevitabili quando il Giro entro in bottega, quando il ciclismo si ritrova a tu per tu con chi non lo conosce.

È solo la prima tappa, sembra un ritorno alle vecchie abitudini, ma non siamo più come prima: meglio, il Diego recupera la parola, torna tra noi dopo l’estasi della diretta e già racconta di quella volta, a Lonate Ceppino, quando Terzaghi fece una volata che sembrava proprio Van der Poel.
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